
Giorgio Bavestrello e Marzia Bo
Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e della Vita - Università degli Studi di Genova
Ciò che più colpisce della superficie terrestre vista da grande distanza, ad esempio durante un viaggio aereo, è la diffusione del colore verde dovuta alla straordinaria abbondanza dei vegetali che, escludendo le aree desertiche e quelle di alta montagna, ricoprono ogni tipo di ambiente. Gli alberi, sia aggregati in boschi o isolati nelle grandi savane, sono i più tipici elementi del paesaggio terrestre nel quale si è svolta l’evoluzione umana tanto da assumere nella nostra cultura un valore altamente simbolico.
Se l’albero è l’elemento più caratteristico dell’ambiente sub-aereo perché non dovrebbe esserlo anche delle inaccessibili profondità marine? Per molto tempo si è fantasticato di foreste sul fondo degli abissi e la scoperta degli animali simili a piante, gli zoofiti settecenteschi, non ha fatto altro che aumentare questa immaginifica aspettativa.
Oggi sappiamo che queste foreste esistono davvero ma sono costituite non da piante ma da animali –gorgonie, coralli neri e idrozoi- e la struttura del paesaggio è eminentemente animale: se la botanica è la regina delle terre emerse, la zoologia lo è dell’ambiente marino.
L’influenza di questi organismi arborescenti sugli ecosistemi del fondo è enorme. La loro struttura conferisce tridimensionalità al substrato, aumenta le possibilità di nuove nicchie ecologiche, rappresenta un polo di attrazione per una ricchissima fauna associata di piccoli invertebrati ed, inoltre, favorisce lo sviluppo di abbondante pesce pregiato. Proprio la ricchezza della vita che ospitano costituisce un grave rischio per le foreste sottomarine, soprattutto per quelle che sono situate ad una certa distanza dalla costa e si sviluppano su secche isolate al di sotto dei 70-100 m di profondità.
La pesca artigianale, infatti, tramite reti da posta o palangari si concentra intorno alle secche rocciose popolate da coralli ed altri organismi strutturanti per catturare prede di elevato pregio economico come aragoste, san pietro, rane pescatrici, dentici e, a maggiore profondità, pagelli occhialoni ecc. In questi ambienti, sotto l’azione delle correnti di fondo, gli attrezzi si afferrano nei rami delle gorgonie o nelle rocce circostanti, rompono le ramificazioni e, frequentemente, vengono perduti trasformandosi in reti fantasma che, per lungo tempo, continuano a pescare prede che nessuno raccoglierà. Appesantiti dal fouling che vi si insedia gli attrezzi si appoggiano lentamente sul fondo ricoprendo e soffocando le comunità a coralli. In questo modo, lungo le coste tirreniche con picchi impressionanti nel Golfo di Napoli e lungo la Riviera Ligure, le secche italiane profonde si stanno progressivamente impoverendo con drammatiche conseguenze di fatto anche sulla produzione della pesca artigianale.
Allo scopo di valutare il fenomeno in termini quantitativi e di promuovere pratiche responsabili per la pesca artigianale in grado di garantire la conservazione degli ecosistemi bentonici del bacino del Mediterraneo è in corso un progetto di ricerca transfrontaliero biennale finanziato dall’Unione Europea e coordinato dalla Fondazione Biodiversità del Ministero spagnolo dell’ Agricoltura, Alimentazione e Ambiente (Fundación Biodiversidad) dal nome “Conservazione di ecosistemi e pesca artigianale sostenibile nel bacino del Mediterraneo (ENPI-ECOSAFIMED)” che prevede la collaborazione tra l'Istituto di Scienze del Mare del CSIC di Barcellona, l'Istituto Nazionale di Scienze Marine e Tecnologia di Tunisi e l'Università di Genova.
L’idea è quella di confrontare le rese di pesca ed il danno agli ecosistemi del fondale utilizzando diversi tipi di attrezzi in zone, tra 50 e 200 m di profondità, nelle quali non viene effettuata la pesca a strascico, ma sulle quali verte solo la pesca artigianale. In questo senso saranno compiute una serie di pescate sperimentali, per quel che riguarda i mari italiani, nel Golfo di Patti e nell’Arcipelago Pontino. Queste pescate avranno come scopo la valutazione sia del pescato che del bycatch bentonico. Infine saranno paragonate, tramite osservazione diretta effettuata grazie a veicoli filoguidati (ROV), aree particolarmente sfruttate con aree meno lavorate.
E’ importante ricordare che l'obiettivo finale del progetto è l'elaborazione di raccomandazioni gestionali per le marinerie artigianali del Mediterraneo, in modo da assicurare la compatibilità delle attività di pesca con un buono stato di conservazione degli habitat marini. L’idea di fondo del progetto considera l’integrità ambientale come il bene più prezioso degli operatori del settore e promuove anche la divulgazione di mappature ed immagini ad alta risoluzione dei fondali pescati allo scopo di far conoscere le bellezze e le criticità del territorio. E’ assolutamente necessario che i dati scientifici possano integrarsi con le opinioni dei pescatori in modo da delineare linee guida nella scelta dei siti e degli attrezzi per massimizzare le rese nel rispetto dell’ambiente e salvaguardando gli attrezzi impiegati.